Cap.6
Mmmm.
Mal di testa.
Domenica mattina. Mi sembra di aver preso una manganellata in testa. Martella, martella, martella, che male, mi pulsano le tempie. Allora sono questi i famosi “postumi da sbornia”? Cazzo se fa mi fa male la testa. E’ perché non sono abituata. Me l’ha detto Lucas. Lui sa sempre tutto, lo vedevo come una specie di tuttologo, in fondo avevo 11 anni.
La prima sbornia me la ricorderò per sempre. E’ stata la prima e l’ultima sbronza che mi sono presa con la compagnia di mio cugino. Mi hanno detto che se già sono vivacissima da sobria, da ubriaca sono letteralmente incontenibile. Un uragano in espansione!
Ho continuato a uscire con loro fino alla seconda media, poi loro ormai erano troppo grandicelli per me, avevano la macchina e stavano via fino alle 6 del mattino, io alle undici dovevo rincasare… ormai non eravamo più compatibili.
…Ma la vostra Anayuzza ai sabati sera in giro per i pub non ci rinuncia. Della serie: e fu così che si creò una nuova compagnia. Precisamente, a novembre della terza media, durante una gita scolastica, era il 1992. Abbiamo trascorso 3 giorni a Salvador Bahia, sempre in Brasile.
Quanto ci siamo divertiti in quella gita! Io ero in stanza con la mia migliore amica dell’epoca, Catarina Ramos, figlia di amici della mia famiglia. Eravamo amiche per la pelle dall’asilo.
Ad ogni modo, ogni sera chiamavamo un sacco di amici nella nostra stanza a guardare la tv con noi e a sgranocchiare patatine, cioccolata e schifezze di ogni genere e ascoltare il mio amato rock!!
Ovviamente di nascosto dai professori, furtivamente pian piano la nostra stanza si riempiva: alla fine al posto di due eravamo in sei o sette! E così si è formato il mio nuovo gruppo di amici, composto da, oltre a me e Catarina: Christian, Antônio, Ana Beatriz, Miguel e Leandro.
Le prime due sere è andato tutto bene, ci sentivamo dei grandi geni per non esserci mai fatti sgamare neppure una volta. Ma mai cantar vittoria troppo presto!
La terza sera stavamo guardando la tv e sgranocchiando patatine quando Christian mi ruba il pacchetto di patatine. “Ehi, ladro! Dammi il malloppo!!” esclamo io ridendo e saltandogli addosso. Christian cerca di fermarmi ma finiamo inevitabilmente giù dal letto, mentre io gli mordo le mani per cercare di riappropriarmi di ciò che è mio: “Ammazza Anaya ma che hai al posto dei denti, lame di rasoio?! Ahia!!” esclama Christian ridendo. “Catarina che fai lì impalata?! Buttati nella mischia!!” aggiungo io, rivolta verso Catarina mentre vengo schiacciata da Christian che riesce a riappropriarsi delle mie patatine.
Inutile dire quello che ormai avrete immaginato: nel giro di cinque minuti dalla zuffa mia e di Christian s’è formata una mischia incredibile di ragazzi urlanti e scalcianti.
Forse un po’ troppo urlanti e scalcianti.
Un battito di nocche sulla porta ci distrae dalla nostra cagnara.
“Catarina? Anaya? Si può sapere che state combinando?!”
La professoressa Hernandez!!!
Ci guardiamo in faccia con sguardo terrorizzato. Come sempre, il sangue freddo spetta a me e decido di tentare di sistemare la situazione.
“Eravamo sotto la doccia! Può attendere un attimo? Le apro subito!” esclamo spingendo via gli altri e intimando loro di nascondersi. Mi avvolgo in fretta e furia un asciugamano in testa come se fosse un turbante per asciugarsi i capelli e apro lievemente la porta.
“Signorina Hernandez? Mi scusi, io e Catarina litigavamo per avere il phon, sa, ne abbiamo uno solo… mi scusi, prometto che cercheremo di fare meno confusione” dico tutto d’un fiato sperando ardentemente che la professoressa Hernandez non voglia entrare a controllare.
“Sarà meglio, Imanu, o potrei aggiungere un’altra nota sul registro alla tua già ricca collezione” mi risponde acida la Hernandez con un perfido sorrisetto.
Io trattengo il respiro nell’attesa che la Hernandez se ne decida ad alzare i tacchi e andarsene… quando finalmente chiude la porta, mi lascio andare in un profondo sospiro di sollievo.
“Ehi, ragazzi, potete uscire adesso!!”
Non potevo trattenere le risate di fronte a quella scena. Ana Beatriz e Catarina s’erano nascoste sotto alla doccia, Christian e Antônio sotto ai letti, e Miguel e Leandro s’erano infilati dentro l’armadio!!
C’erano teste di ragazzi non ben identificati che sbucavano dappertutto come funghi. Peccato non avessi avuto una macchina fotografica con me al momento, sarebbe stato troppo divertente avere le foto dei miei amici come s’erano conciati!
Cap. 7
Il resto dell’anno l’ho trascorso sempre assieme a loro, eravamo inseparabili.
Finchè nel 1992 mio padre non ricevette una proposta di lavoro dall’azienda tessile dove lavoravano sia lui che Franco Imanu, mio zio (il padre di mio cugino Lucas): l’azienda aveva una filiale in Bolivia, a La Paz, dove mio padre sarebbe stato pagato meglio. Ovviamente, mio padre, Diego, non ebbe dubbi sul da farsi: prese un appartamento a La Paz e ci trasferimmo lì, seguiti dalla famiglia di mio cugino Lucas.
Per me non fu un bel periodo: dovetti salutare tutti i miei amici, soprattutto mi mise molta tristezza il dover separarmi dalla mia grande amica Catarina… ein più in quel periodo morì anche Lothar, il mio adorato cagnolino.
Approdai a La Paz con uno stato d’animo profondamente giù di morale. La nuova casa mi appariva fredda e anonima, abituata com’ero ai colori e alla vita di Rio De Janeiro.
Mi mancavano un sacco i miei amici, continuavo comunque a sentirmi via lettera con Catarina e le dicevo di salutarmi tutti e di tenermi informata sulle ultime news del gruppo.
Nei primi tempi mi sentivo piuttosto sola e a casa mi annoiavo, così decisi di iniziare a fare un po’ di sport. Dai 6 ai 9 anni ho fatto nuoto nella piscina più vicina a casa mia nel distretto di Campo Grande. Ero diventata una delle più brave, ma poi la piscina è stata chiusa e l’altra più vicina a Campo Grande era troppo lontana da casa mia, per i miei genitori era troppo impegnativo portarmi avanti e indietro e così decisi di cambiare sport. A 10 anni mi sono iscritta al corso di pallavolo, giocando come attaccante. Catarina e Ana Beatriz giocavano nella mia stessa squadra, in serie D. Mi piaceva molto la pallavolo, ma poi, dovendomi trasferire in Bolivia, ho dovuto lasciare la squadra. E, una volta arrivata a La Paz, decisi di ricominciare da zero con uno sport deciso, duro, impegnativo, faticoso…da ragazza tosta quale sono. Ovvero, la kick boxing.
Il primo giorno del corso, mi infilo un paio di pantaloni comodi da fitness neri, una canottiera bianca e un paio di scarpe da ginnastica con la mia immancabile bandana rossa, ed arrivo con un’ora di anticipo. Entro a passo deciso nella palestra, tenendo a tracolla un borsone sportivo con il mio cambio di vestiti e uno stereo. Appoggio lo stereo alla panchina per fare i piegamenti, attacco la spina alla presa del muro e metto su una cassetta degli AC/DC. La stanza era completamente vuota, sotto alle note di Highway To Hell che mi danno la carica inizio a tirare pugni al punching ball nero lì vicino, giusto per scaldarmi un po’.
Destro, sinistro, dritto, destro, rovescio, sinistro.
Inizio a prenderci gusto, mi fa sfogare, mi piace. Gli AC/DC sono dei grandi. Che mito Angus Young.
“Highway To Hell, se non sbaglio?”
Una voce femminile mi coglie di sorpresa. Mi volto stupita, cercando di individuare con gli occhi la fonte di quella frase. E la trovo. Una ragazza un poco più bassa di me, con i capelli corti neri dal taglio punk, corti in parte e sparati col gel in testa, un paio di grossi orecchini pendenti azzurri, un top azzurro e un paio di pantaloni comodi neri come i miei. Ha un fisico esile, poco seno, fianchi stretti, le labbra carnose, il naso piccolo, la carnagione abbronzata. Un piercing nella parte alta dell’orecchio sinistro, gli occhi truccati con la matita nera e il mascara. E’ appoggiata allo stipite della porta con le braccia incrociate e un’aria amichevole nello sguardo. Sembra abbia voglia di fare amicizia. Decido di accogliere il suo sguardo con un sorriso altrettanto amichevole da parte mia.
“Album del 1979, Highway To Hell, esatto.” Rispondo io sfilandomi un guantone. Poi rialzo gli occhi verso di lei con un sorriso. “Mi chiamo Anaya.” Aggiungo, porgendole una mano.
“Heliza Rubio.” Fa lei stringendomela. Poi tira fuori i suoi guantoni dalla sua borsa. Se li infila, guardandomi con un sorriso sornione. “Ti va di fare un piccolo incontro?” mi propone poi.
“Sinceramente questo è il mio primo giorno…” commento io guardandola, un po' di incertezza nella voce.
Heliza mi da’ un’occhiata con lo sguardo di chi la sa lunga, poi mi da’ una pacca sulla spalla col guantone.
“A giudicare dai pugni che ti ho visto dare prima a quel povero punching ball, non mi sembri poi così indifesa… allora ti va o no? Ultima chance”
Io mi guardo i guantoni, poi batto fra di loro le nocche sorridendo ad Heliza.
“Fatta! Fammi vedere di cosa sei capace. Ti prometto che avrai filo da torcere!” le rispondo decisa e sicura di me come sono sempre stata, lanciandole uno sguardo di sfida.
....Ho notato da subito che aveva qualcosa di speciale. La mia stessa grinta, la mia stessa sicurezza... sì, quella ragazza mi piaceva decisamente un sacco.
Cap.8
Ben presto io ed Heliza siamo diventate amiche per la pelle. Ci siamo anche ritrovate in classe assieme, al liceo linguistico, ed eravamo sempre vicine di banco, per la disperazione di quei poveri disgraziati dei nostri professori!
Al liceo, oltre allo spagnolo (lingua principale in Bolivia) e l’inglese, che già studiavo dalle medie, studiavo anche il tedesco e il latino. Seguivo inoltre un corso aggiuntivo per imparare il greco antico ogni giovedì pomeriggio. In più, conoscevo già il portoghese, perché era la lingua che si parlava in Brasile, mio Paese d’origine.
In classe avevo fatto amicizia più o meno con tutti, ma soprattutto, oltre che con Heliza, con Francisca Vázquez, Julia Navarro, Valéria Sanz e Gisela Diez. Eravamo un bel gruppo. Ne combinavamo di tutti i colori assieme!
Il sabato sera uscivamo tutte assieme, con un gruppo di amici di Heliza più grandi di noi, tra i 18 e i 20 anni: Marcos, Emanuel, Maurício, Thomas e Roberto (il ragazzo di Heliza). Eravamo un bel gruppo affiatato, ma ne mancava ancora uno: un certo Nicola, detto Il Biondo per il colore dei suoi capelli, di certo molto rari da trovare in un gruppo di ragazzi sudamericani. Parlavano sempre di questo Nicola. Mi avevano detto che era in Italia al momento, e sarebbe tornato ai primi di novembre. Perfetto, dico io, così può venire al mio compleanno e posso finalmente conoscere questo tanto famoso personaggio. Chissà poi che avrà di così speciale. Mah!
Mi raccontavano spesso di lui. Mi dicevano che ascoltava anche lui hard rock come me, che aveva un sacco di ragazze che gli sbavavano dietro sia qui che in Italia, dov’era nato. Sua madre è italiana, precisamente di Milano, mentre suo padre è Boliviano. E’ dalla madre che ha ereditato gli occhi azzurri e i capelli biondi. Mi raccontavano di Nicola che partecipava alle gare di moto clandestine ad Alto Lima, il quartiere più malfamato della città, e che vinceva sempre. Mi dicevano che era coraggioso, che aveva sempre una battuta a portata di mano… non era difficile capire chi fosse il leader della compagnia, sentendo le loro parole.
Questo Nicola mi incuriosiva. Avevo voglia di conoscerlo. L’occasione per farlo mi si presentò di lì a poche settimane. Il 4 Novembre compivo 14 anni e avevo deciso di andare a mangiare una pizza con gli amici per festeggiare il compleanno. E sarebbe venuto anche Nicola.
Ecco, eccoti tornare ancora dentro di me, prepotentemente, senza chiedere permesso. Il ricordo del nostro primo incontro, a quella festa. La mia festa, tra l’altro. Avevo portato tutti a mangiarsi una pizza in centro, c’erano tutti i miei amici, e soprattutto c’era Heliza. La mia migliore amica. Heliza. Vestita con quella maglia azzurra cielo, una gonna nera con uno spacco audace, un paio di stivali col tacco dello stesso colore, dalla linea netta e sicura, quasi spavalda. Due orecchini chandelier azzurri appesi alle sue orecchie a punta, il viso incorniciato da dei capelli corti corvini dal taglio ribelle e spettinato pieni di gel, con un ciuffo di capelli in parte alla fronte che le coprivano uno dei suoi occhioni. Piccola pantera. Dolce gattina. Tenera e ribelle, proprio come me.
Io ero estasiata al centro della tavolata, al calore di quel gruppo di amici che mi sorridevano e mi riempivano di regali, stretta e al sicuro nell’affetto di tutte quelle persone, riunite accanto a me per festeggiare il mio quattordicesimo compleanno.
Non c’erano solo loro quella sera. “Su dai, usciamo a divertirci un po’, che ne dite se chiamo i miei amici? Con loro facciamo un casino bestiale, massì dai, adesso faccio un colpo di telefono al Biondo; così te lo faccio conoscere, Anayuzza!”. La voce di Heliza, forte e sicura, si aggiunge alle altre, sovrastandole.
“Fatta! Tutti fuori a fare macello ragazzi! Yu-uuuuuuuuuh!”
Sono felicissima, emozionata, eccitata, ho voglia di vivere e divertirmi, quella è la mia sera. Il Biondo. Ho sentito così spesso parlare di lui. Heliza soprattutto, mi faceva una testa così con questo Biondo, me ne parlava sempre, mi raccontava di quell’estate trascorsa con lui, tutte le cazzate che avevano combinato, la sua sbandata passata per lui, i litigi, il casino che facevano insieme. La sorella odiosa, il padre impegnato in politica, la passione per il calcio, le sue storie d’amore passate, la sua antica cotta per la cugina di Heliza, María Estela, tutto. Sapevo tutto di lui ancor prima di conoscerlo.
“Vedrai, ti piacerà” mi sussurra Heliza all’orecchio imboccando il corridoio per le scale verso l’uscita della pizzeria. Oh, non avrei mai immaginato che potesse essere così vera quella frase.
Ad un tratto mi fermo. Un gruppo di ragazzi sui 18 anni ci sta raggiungendo lungo le scale. Sono tre. Uno è alto, con i capelli corti, castani, a spazzola, le labbra carnose e un naso importante. Ha una felpa nera con la zip e un paio di jeans. Lo riconosco, è Roberto, il ragazzo di Heliza: è arrivato finalmente, aveva appena finito il suo turno di lavoro. Un altro è il più basso del trio, con la carnagione abbronzata, due grandi occhi neri. Ha una camicia elegante bianca e dei pantaloni di velluto. L’avevo quasi scambiato per un cameriere. Non so il suo nome, ma sento che tutti lo chiamano Costantino. Mi riprometto di farmi spiegare un giorno il perché di quel soprannome. Costantino s’è trascinato dietro una ragazza dai capelli rossi che non ho mai visto prima. Non sembra boliviana. Boh. Al momento non mi interessa, sono troppo intenta a squadrare i nuovi arrivati.
Il terzo è il più alto di tutti, all’inizio il mio sguardo è attirato da lui, quella faccia la conosco già, si chiama Thomas. Cresta di capelli ingellati e piercing al sopracciglio. E poi c’è lui. Eccolo, è il Biondo. Lo riconosco a prima vista. Capelli lunghi, biondi e lisci, con due ciuffi sulla fronte, nascondono due penetranti occhi azzurro ghiaccio. Una bella camicia nera con dei ricami barocchi, un paio di jeans strappati sulle ginocchia con un geniale colpo di forbici del sarto, delle scarpe nere, semplici, non troppo eleganti, ma neppure sportive. È perfetto nella sua accurata scelta dei vestiti per l’occasione. Bello in tutti i suoi difetti, affascinante e complesso, odioso e adorabile allo stesso tempo. Misterioso e inconquistabile. Sembra freddo e inarrivabile avvolto da quella camicia nera, in realtà è fatto di passioni ed ire. Sofisticato e particolare con quell’orecchino che spunta da sotto i morbidi capelli biondi, vistoso o anonimo, io lo riconosco subito. Biondo. Nicola. E’ lui, me lo sento. Il mio cuore l’ha già riconosciuto. E l’ha già scelto. E’ lui.
Cap.9
Toc, toc, toc. Il rumore dei tacchi di Heliza sull’asfalto. Cammina felice con il sorriso rivolto al suo ragazzo, il tipo con la bocca carnosa e la felpa nera che avevo visto prima. È il migliore amico di Nicola. Si chiama Roberto e sembra un tipo tranquillo. Segue i passi veloci della sua Heliza e non partecipa molto al tripudio di risate e voglia di vivere che pazzeggia attorno a lui. Ad ogni modo, non ha colpito il mio sguardo. Sono troppo presa da questo nuovo ragazzo biondo, il famoso Nicola, tutto quello che mi è stato raccontato su di lui, mi sembra quasi una leggenda vivente. Sentirò mai le stesse storie dalla sua voce? Saremo mai amici? Chissà, chissà. Al momento non è che mi piaccia granchè, non fa altro che rubarmi l’ombrello proprio adesso che piove, dai ridammelo, così mi lavo tutta, mi sono appena rifatta il trucco in bagno, non farmi sprecare tutta ‘sta fatica. Scherzo e rido mentre l’acqua dal cielo non accenna a fermarsi. Lui mi fa i dispetti come un bambino. Ho rotto il ghiaccio, chiacchiero tranquillamente con lui e gli altri, gli sto simpatica, ho fatto una bella impressione. Forte la tua amica,Heliza! Si, diranno questo di me.
Un saluto e una presentazione per formalizzare la cosa, okay ora ci conosciamo ufficialmente, Nicola mi stringe la mano e mi da tre baci sulla guancia, non due ma tre, mi da l’impressione che con l’altra mano non mi stia stringendo la schiena ma qualcosa più giù, ma lascio perdere. Spavaldo il ragazzo. Anche troppo. Gli faccio una linguaccia tirandomi via e gli do un colpo sulla spalla giocando. Thomas nel frattempo porta in giro sulle spalle Heliza, mentre lei scalcia e urla che vuole scendere. Ma Thomas non accenna a mollare la presa, scherzando poco più in là, facendo casino sotto la pioggia. Tutti ridono e sono felici, non c’è differenza, ragazzi e ragazze si divertono insieme giocando e scherzando, siamo un bel gruppo, sprizziamo allegria da tutti i pori.
Le mie amiche di classe, Gisela, Francisca, Valéria e Julia tornano a casa presto, loro sono rimaste un po’ per conto loro, cerco di metterle a loro agio ma stare con dei ragazzi più grandi sembra metterle a disagio.
Nicola come un giovane cicerone porta il gruppetto ormai ridotto nei pub, Costa offre da bere, a quanto pare il tipo dev’essere uno di quelli col portafoglio a fisarmonica, perfetto, approfittiamone. Ci siamo seduti tutti e 11 allo stesso tavolo e ci diamo alla pazza gioia.
Un drink lo pago io, no basta, sennò poi come cazzo torno a casa, ma no tranquilla ti portiamo a casa noi, va bene dai, mi butto. Un bacardi al limone signorina, grazie. Un altro. Un altro. Un altro e poi un altro ancora. Due cuba libre per te e il tuo accompagnatore, bellezza. Si grazie, adesso dammi da bere però. Una birra bionda che ci passiamo fra di noi. Bionda, bionda, bionda… adesso va di moda il giallo. Già, già, anche Nicola è di moda. Heliza mi diceva sempre che le ragazzine vanno matte per lui. Ma lui non va mai matto per nessuna. Le usa, si diverte, non apre mai il suo cuore a nessuno. Non si racconta. Non si confida. Non chiede consigli. Non mette mai a nudo i suoi sentimenti. A nessuno. Eccetto che a me. Oh, Nicola… Nicola ordina altri due gin lemon e due vodka. Tanto paga Costa. Ci sono due cannucce nel bicchiere, da una bevo io e da una beve lui. Questo tipo inizia a piacermi. Distendo le gambe sulla sedia accanto a Costa e gli rubo il cappellino. Mi sta bene. Non so per quanto l’ho tenuto in testa. Iniziavo a sentirmela un po’ girare, ma non importa, quel gin lemon è buono, ne voglio ancora. No signorina una vodka alla fragola grazie. Uhm. Una? Sembrano due. O forse quattro? Non lo so, vedo tutto così sfocato. Mi appoggio alla spalla di Nicola. Lui mi accarezza dolcemente. Risate, allegria, birre e amore. Non so quanto tempo è passato, cammino quasi dritta e sono seduta su una panchina sotto la loggia, Nicola è accanto a me. È l’effetto dell’acqua, ti ha fatto tornare un po’ lucida, mi dice lui. Va bene. Ora però stammi vicino, fa freddo qui. Nell’altra panchina c’è Roberto e una rossa che non conosco. Dev’essere l’amichetta di Costa. Ma Heliza dov’è? Dove sono gli altri? Ah, sono già andati a casa? Ah, già, sono le due di notte, è tardi. Tra un po’ verranno anche i miei. Uffa, non voglio. Ho voglia di stare con te, biondino. Stammi accanto. Fammi le coccole. Lo sai? Mi piaci un sacco.
E questo qui vicino a te chi è? Non mi ero accorta che c’eri prima. Eri lì alla festa? Ah ecco perché infatti non ti ho visto. Beh, piacere, io sono Anaya. Diego? Diego Fontana? Bel nome Diego. Ce l’hai un soprannome? No? Beh, allora te lo trovo io. Fontana, font, fonz. Ecco, Fonzie! Okay allora d’ora in poi ti chiamerò così. Sunday, Wednesday, happy days.. ahahahah! Cosa? Dove abito io? A... ehm...La Pas, può essere? No, no, aspetta, si chiama… Le Paz, giusto? No…. Uhm… non riesco più a pronunciarlo giusto… eheh… iih.. eh? ah sì Nicola, esatto, La Paz, proprio così. Sì, ce l’avevo sulla punta della lingua. Ahah!
L’alcool sbriglia la mia fantasia, la mia lingua impazzita parla e ride e racconta e chiacchiera, in una sincerità spiazzante, i miei ricordi uno dopo l’altro mi passano dalla mente alla bocca, passo dalle risa alla tristezza; Nicola ride e poi man mano lo vedo farsi più serio, ma io non capisco e continuo a raccontare. La mente sciolta e incontrollabile. I suoi occhi così belli mi fissano quasi increduli, poi diventano dolci, apprensivi, partecipi, solidali. Mi appoggio al suo torace con i ricami barocchi e lui mi prende tra le braccia. Fa scivolare un dito dalla mia fronte alle mie labbra, soffermandosi ad accarezzarmi la guancia. Scosta un ciuffo di capelli neri dagli occhi e li guarda, perdendosi in quel verde, come io mi perdo nel suo azzurro. Fa caldo e poi fa freddo, mi tolgo la giacca e scopro le spalle nude, lui le sfiora con le labbra. Chiudo gli occhi, mi lascio trasportare dal silenzio della notte, non so più dove siamo, che ci faccio lì, c’è qualcuno attorno? Non mi interessa. Nella mia mente ci siamo solo io e lui. Lui ed io. Anaya e Nicola. Nicola e Anaya. I due fan dell’hard rock, i due casinisti, i due appassionati di moto, il biondo e la mora, loro due, noi due, nient’altro che noi due. Cerco ansiosa le sue labbra. Occhi chiusi. Occhi aperti. I suoi occhi mi conquistano. Azzurri, chiari, come il cielo, di più, come il ghiaccio. Intensi, a tratti duri, glaciali, a tratti allegri, dolci. Mi lascio trascinare in un vortice di sospiri e desideri. Mi restano in mente ancora i suoi occhi. Mi stanno guardando dolcemente, desiderosi, insoddisfatti, vogliono di più, che cosa vogliono da me quegli occhi? Decido di non pensarci. Mi stringo a lui come una bambina e sento i muscoli del suo petto contrarsi e sospirare seguendoci. Occhi blu, blu blu blu, blu come la notte, blu come il mare, blu come l’acqua, l’acqua che sta piovendo dal cielo, brr che freddo, torno alla normalità, torno in me, è ora di andare a casa mio principe biondo, devo andare, davvero, è stato bello conoscerti. Ora vado. Mi rivesto incerta sul da farsi mentre lui mi accarezza i capelli e lo saluto, saluto il mio principe. Devo proprio andare, salgo sull’auto, ciao angelo dagli occhi blu, demone dagli occhi blu.
La radio in camera mia diffonde “Tomorrow” degli U2. Tornerai da me domani? Posso dormire tranquilla allora? Ti ricorderai della tua bambina dagli occhi verdi? Can I sleep tonight? ‘Cos I want you… yeah... ah-ah..Will you be back tomorrow…
Cap.10
....Ed è tornato. Il giorno dopo, esattamente. Abbiamo iniziato a frequentarci, dopo neppure una settimana facevamo già coppia fissa. A volte le sbornie oltre al mal di testa portano anche cose positive
Io ero persa per Nicola. Ma proprio innamorata pazza. Sapete che significa riempire quaderni su quaderni solo scrivendo il suo nome, spendere fino all’ultimo centesimo per riempirlo di regali e regalini, trovare un po’ di lui in ogni canzone, pensare a lui ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo? Io sì. Nicola... ah, Nicola, hai saputo davvero conquistarmi. Nessuna ragazza ti ha mai amato quanto ti ho amato io in quei tre lunghi, bellissimi, divertenti, pazzerelli, passionali anni che abbiamo trascorso assieme fra alti e bassi, gioie e dolori, orgogli e rimpianti, arrabbiature e litigi, sorrisi e baci e abbracci e te ed io e amore, semplicemente amore.
Nicola aveva mille attenzioni per me. Quanti ricordi… quante cose fatte assieme. Ricordi stupidi, semplici, irrilevanti, che però invadono i miei pensieri come se fossero i più importanti di tutta una vita..
Me lo ricordo ancora, il giorno dopo il nostro incontro. La mattina mi ero svegliata tardissimo, alle undici, ero distrutta: un mal di testa pazzesco! Per darmi una svegliata, ho sceso le scale intontita fino alla cucina dove mi sono fatta un caffè, e con la tazzina in mano sono tornata in camera mia dove ho messo su un po’ di musica: la cassetta dell’album dei Pink Floyd Delicate Sound of Thunder. Ho ascoltando Another Brick In The Wall a ripetizione per non so quante volte, finchè mia madre non mi ha urlato di cambiare canzone lanciandomi una ciabatta per rafforzare il concetto e costringendomi a mettere un’altra cassetta. Stavolta opto per l’album In Through The Out Door dei Led Zeppelin. E intanto nella mia testa frullano mille e più pensieri. Quando rivedrò Nicola? Perché non si fa sentire? Perché non mi telefona? Perché sembra che il tempo si sia fermato e io me ne sto qui come una deficiente ad aspettare che quel fottuto telefono squilli? Mi faccio un casino di film sul perché Nicola non si sia ancora fatto vivo. Che sia impegnato con la scuola? Col calcio? Mi aveva detto che giocava in una squadra in serie C2 e che era spesso impegnato con gli allenamenti. Nicola andava pazzo per il calcio. Era una delle sue principali ragioni di vita, nonché il suo sogno. Una vocina maligna dentro alla mia testa mi suggerisce che i motivi per cui non si fa sentire siano ben altri. Qualche nuova ragazza? Cerco di autoconvincermi che non c’è nessun’altra ragazza, ma resto comunque pensierosa e accigliata. Ho appena messo All Of My Love quando sento trillare il campanello di casa. Mi infilo un paio di infradito nere e scendo velocemente le scale, fino ad arrivare ad aprire la porta dell’ingresso.
Quello che mi trovo davanti mi lascia perplessa e piacevolmente sorpresa.
Un enorme mazzo di rose rosse tenuto in mano da un tizio con la divisa dell’Interflora.
“Ehm…lei è la signorina Imanu?” mi dice con tono esitante.
Per un attimo non ci credo. Cerco di disilludermi pensando che siano per mia madre.
“Sì, sono io.. per caso cercava mia madre?”
“No, sinceramente a me pare che sua madre si chiami Marìa… e qui c’è scritto ‘per Anaya’… è lei per caso?”
La mia espressione di stupore si tramuta in un estatico sorriso. Nella mente mi ronza una sola parola. Nicola. Sì, di sicuro, me le ha mandate lui. Oh, Nicola!
Prendo in mano il mazzo di rose e corro in camera per infilarle in un vaso d’acqua. Mi soffermo a rimirarle estasiata. Undici bellissime rose rosse, con un bigliettino attaccato al mazzo. Curiosa, come sono sempre stata, lo apro e lo leggo.
“Ehi, stupenda…
i fiori più belli
per la rosa più bella di tutte!
Un bacio,
Nicola”
Sorrido leggendo quelle righe, e annuso una delle rose. Che profumo fantastico… me lo ricordo ancora perfettamente come se fosse ieri.
E’così che è iniziata la nostra storia. Con le 11 rose rosse più belle che avessi mai visto. O forse era il mio cuore impazzito di gioia a vederle così belle. Comunque sia, con quei fiori iniziò un lungo periodo felice per me. Io e Nicola facevamo coppia fissa ed eravamo innamoratissimi, ed io ed Heliza eravamo ormai diventate amiche del cuore, confidandoci tutti i nostri pensieri e combinandone insieme di tutti i colori. Quante pazzie, quante avventure!
Una delle prime è stata quella a Capodanno.
Cap.11
Quel 31 dicembre avrei dovuto passare una tranquilla serata fra ragazze a casa di Heliza, assieme a lei e a Gisela, Valeria, Julia e Francisca.
I miei quella sera se ne sarebbero andati soli soletti in un bel ristorantino di La Paz a festeggiare romanticamente il Capodanno, mentre io avrei dovuto passarlo nella casa LIBERA di Heliza con le mie amiche.
Ahahaha.
Sembra quasi vero.
Quando mai le cose tranquille sono state la mia passione?! Io adoro l’azione, l’avventura, seguo sempre il mio istinto, e… quella volta il mio istinto mi suggeriva di combinarne una delle mie.
E come sempre, gli ho dato retta.
Una volta arrivata a casa di Heliza, come sempre per ultima, trovai il grande tavolo di legno nella cucina di Heliza strapieno di bottiglie di tutti i tipi di liquori esistenti e qualche ciotolina di patatine sparsa qua e là. Sorrisi.
Le mie amiche mi vennero incontro salutandomi mentre Heliza alzava il volume dello stereo.
Nella stanza si diffondono le note scatenate di Lady With The Spinning Head degli U2.
“Woow! Ti piacciono gli U2!! Io li ADORO” esclamo, sorridendo ad Heliza. Poi mi volto e vedo quelle smorte di Valeria e Julia che si sono educatamente sedute e piluccano tranquille qualche patatina.
“Ehi, che è sto mortorio?! Ragassuole mie care, è capodanno, make some noise!” esclamo io correndo lì a scuoterle ridendo.
“Anayuzza! Basta con quegli stranierismi” mi rimprovera scherzosa Heliza incrociando le braccia e gustandosi la scena con aria divertita.
“Anaya!! Anaya stai ferma!!” urlano le altre due cercando di divincolarsi.
“Macchè stare fermi!! CASINOOOOO!!” aggiungo io saltando sul tavolo e mettendomi a ballare sulle note di When Love Comes To Town degli U2.
Mi abbasso un secondo per prendere in mano un Campari rosso e me lo scolo tutto d’un fiato mentre continuo a fare la scema sul tavolo e con l’altra mano cerco di tirar su anche le altre.
Uso la bottiglia vuota come microfono cantando “I was a sailor, I was lost at sea, I was under the waves before love rescued me! I was a fighter, I could turn on a thread, now I stand accused of the things I've said!”. Heliza scoppia a ridere vedendomi e si unisce a me saltando sulla tavola evitando qualche ciotola di patatine qua e là, seguendomi nel ritornello.
“Love comes to town I'm gonna jump that train, when love comes to town I'm gonna catch that flame! Maybe I was wrong to ever let you down, but I did what I did before love came to town!”
“Anaya!!HELIZA!! Che combinate?!Ahahah!!” esclamano le altre scoppiando a ridere.
Alla fine riesco ad afferrare Gisela per un braccio e la trascino a ballare con noi, mentre ordino urlando a Julia di mettere su i Motorhead.
Salto giù dal tavolo afferrando una birra Franziskaner mentre ormai anche le altre iniziano a sciogliersi un po’. In quel momento, penso a Nicola. In questo momento si starà preparando per andare alla festa al La Plaza, un disco-pub a non più di dieci km da casa di Heliza.
“Ehi! Ragazze!Ho un’idea” esclamo io, mentre tutte si girano a guardarmi incuriosite.
“Che ne dite se chiamo Nicola e gli chiedo se ci porta con lui alla festa al La Plaza?” propongo con un sorrisone incoraggiante. Gisela, Valeria, Julia e Francisca si guardano fra loro indecise sul da farsi. Heliza mi sorride di rimando.
“Woow! Questa sì che un’idea, Anayuzza!! Forza, corri a chiamarlo!!” esclama lei mentre io filo di corsa verso il telefono. Compongo il suo numero di casa e aspetto che risponda.
“Pronto?”
“Nicola, ciao, sono io!” esclamo io emozionata.
“Ehi, ciao, bimba” mi risponde lui. Posso quasi vederlo sorridere all’altro capo del telefono. “Lo sapevo che non avresti resistito all’idea di chiedermi di venire con me alla festa”
“Sono così prevedibile?!” ridacchio io. “Beh, sinceramente… ecco… non sono l’unica che vorrebbe andare a quella festa…”
“Heliza?”
“Sì… Heliza… e…” trattengo il fiato prima di finire la frase. “…e anche Gisela, Francisca, Julia e Valeria”
“Tutta ‘sta gente? Piccola, sei veramente incredibile” scherza lui ridendo. “Certo che vi porto! Starete un po’ strette però… tra un quarto d’ora sono da te. Sei da Heliza vero?”
“Sì, sì, sono da lei”
“Perfetto. A dopo allora, dolcezza”
“Nicola?”
“Sì?”
“Grazie. Ti amo”
Ti amo?! Era la prima volta che glielo dicevo. No. Era la prima volta che lo dicevo in generale. Non avevo mai provato per nessuno quello che iniziavo a provare per lui.
“Ehi, bimba… anch’io ti amo” risponde lui, in un dolce sussurro. Io sorrido, ripensando a ciò che ho appena detto. Poi mi volto verso le altre alzando i pollici in segno di vittoria.
“Fatta!! Tra un quarto d’ora è qui!!” esclamo io estasiata.
La Paz. Un quarto d’ora dopo.
Nicola sta guidando, lanciandomi ogni tanto qualche occhiata divertita… io sono nel posto accanto a lui; dietro di noi ci sono Julia in braccio a Gisela, Valeria, ed Heliza in braccio a Francisca.
“Ora capisco che cosa provano le sardine in scatola” esclama Francisca scherzosamente. Scoppiamo tutti a ridere, mentre Nicola mette su Baby I love you dei Ramones.
Nicola canticchia la canzone guardandomi. Adoro la sua voce.
Have I ever told you how good it feels to hold you?
It isn’t easy to explain...
And though I’m really trying, I think I may stop cry ing
My heart can’t wait another day when you kiss me I just gotta
Kiss me I just gotta, kiss me I just gotta say
Baby I love you... c’mon baby!
Baby I love you… ooh-wee-ooh baby!
Baby I love, I love only you!
Io gli sorrido cantandogli un altro pezzo della canzone, mentre le altre ragazze sono troppo impegnate a chiacchierare e ridere per badare a noi.
I can’t live without you, I love everythinh about you
I can’t help it if I feel this way
Oh, Im so glad I found you... I want my arms around you
I love to hear you call my name oh, tell me that ya feel
Tell me that ya feel, tell me that ya feel the same!
Nicola mi sorride dandomi un dolce bacio sulle labbra, mentre gira verso il parcheggio del locale. E’ una specie di discoteca, con due enormi stanze: una con una pista da ballo e un bancone dove vengono venduti gli alcolici, e un’altra dove ci sono dei tavoli per mangiarsi una pizza o bersi qualche drink. Non ero mai stata al La Plaza. Decido che il posto mi piace.
Smonto sportivamente dall’auto e assieme a Nicola e alle mie amiche entriamo nel locale.
E’ pienissimissimo di gente, anche se l’atmosfera deve ancora scaldarsi. Nicola mi prende per mano portandomi dal barista.
“Cosa posso offrirti, bellezza?” mi domanda Nicola scherzoso.
Io gli sorrido sorniona e appoggio un gomito al bancone del bar sorridendogli.
“Un bacardi al limone… col ghiaccio” sussurro. Nicola mi strizza l’occhio ordinando una vodka all’anice per lui e un bacardi per me.
“E gli altri? Thomas, Maurício, Emanuel…dove sono?” domando io guardandomi attorno.
“Beh, Roberto sta per arrivare…. Thomas e gli altri devono essere qui in giro” mi risponde Nicola. Poi si da’ un’occhiata intorno. “Ehi, qui ci vuole qualcuno che sappia scaldare un po’ la situazione… ti va di ballare? Heliza mi ha detto che adori ballare… sono un bravo ballerino anch’io, sai?” mi sussurra all’orecchio.Io mi allontano di poco da lui per guardarlo negli occhi.
“Ah si?” commento io alzando un sopracciglio con aria sorniona. “Allora fammi un po’ vedere cosa sai fare…il cubo è tutto per noi” aggiungo poi prendendo con delicatezza la sua mano e conducendolo verso il centro della pista.
“Mmm… mi piacciono le donne con spirito d’iniziativa” commenta lui, mentre sale sul cubo con me. Il dj fa partire un disco di David Bowie. Le note di Let’s Dance! riempiono la stanza.
Let’s dance! Put on your red shoes and dance the blues...Let’s dance! To the song they’re playing on the radio... Let’s sway! While color lights up your face…Let’s sway, sway through the crowd to an empty space...If you say run, I’ll run with you, if you say hide, we’ll hide, because my love for you would break my heart in two! If you should fall into my arms and tremble like a flower!
Mi lascio trasportare dal ritmo della musica e ballo seguendo il tempo... dietro di me Nicola lascia scorrere delicatamente una mano sui miei fianchi, muovendosi dietro di me. Anche le mie amiche iniziano a sciogliersi un po’, scorgo Heliza ballare avvinghiata a Roberto, Julia e Francisca chiacchierare con Thomas poco più in là, mentre Valeria e Gisela ballano poco distanti dal cubo attorniate da ragazzi.
Penso ai mie genitori che al momento saranno seduti tranquilli al tavolo del ristorante pensando magari a me, chiedendosi se mi sto divertendo, se non sarà magari troppo noiosa una semplice festicciola fra amiche per Capodanno.
Ahahaahah… !
Sorrido mentre mi scateno seguendo la voce di David Bowie che incita tutti a ballare. Let’s dance! You could look into my eyes… Let’s sway! Under the moonlight, this serious moonlight…
Le 23.58… ancora due minuti, e poi il 1992 finirà…
Quanto tempo è passato da quella sera del 31 Dicembre 1992! Eppure me lo ricordo ancora così nitidamente. Posso quasi risentire i brividi sulla mia pelle mentre Nicola mi baciava mentre la musica attorno a noi si diffondeva prepotentemente, stordendo ancora di più chi già s’era dato il suo bel contributo a forza di tracannare bottiglie su bottiglie di alcool.
Arriva finalmente la mezzanotte e in un coro di urla e risate diamo il benvenuto al 1993, che si preannunciava intenso e ricco di emozioni. Un po’ allegra, ma ancora abbastanza sobria da camminare dritta senza sbandare addosso a nessuno, afferro una bottiglia dal bancone del bar e inondo tutti di spruzzi d’alcool. Thomas non se lo fa ripetere due volte e segue il mio esempio, creando in pochi secondi il grande casino che potete ben immaginare.
Rido divertita mentre attorno a noi si scatena il finimondo…
Sono le 3 e venti di notte. Mi gira un po’ la testa, colpa dell’ultimo Bloody Mary che mi ha offerto Nicola e che mi ha dato il colpo di grazia. Mi distendo su due sedie vicine alla porta osservando ragazzi e ragazze che si salutano e se ne vanno… chi un po’ traballante, chi sobrio, chi allegro e chi del tutto distrutto. Un piede lo tengo a terra mentre l’altro è appoggiato sulla seconda sedia, una mano invece l’appoggio alla prima sedia per sorreggermi mentre bevo un po’ d’acqua, giusto per tornare un po’ sobria. Fra meno di un’ora è previsto il coprifuoco e non posso tornare a casa in queste condizioni… anche se non sono ubriaca, sono comunque un po’ allegra ed è meglio evitare inutili problemi.
Stavo giusto osservando il giubbotto di pelle da motociclista della ragazza mulatta che sta uscendo dal locale chiedendomi quanto possa averlo pagato e dove possa trovarlo anch’io, quando sento una mano ormai ben conosciuta sfiorarmi delicatamente la spalla per farmi girare.
Nicola.
“Bimba..” inizia lui con un sorriso. “Ti sei presa l’acqua per rimettermi un po’ in sesto, eh?” mi domanda con l’aria di chi la sa lunga. “…E brava la mia bambina” aggiunge dandomi un lieve bacio sulle labbra. “Tra poco dovrò riportarti a casa, dolcezza…che ne dici se stiamo un po’ insieme in tranquillità al parco qui dietro? Ho voglia di stare un po’ solo con te…” aggiunge sussurrandomi all’orecchio.
Io, ormai completamente sobria, gli sorrido. “Certo… ma che ore sono? Già le 3 e mezza? Oh, beh, allora come potrei rifiutare quest’invito? Una serata non è una bella serata se non passo almeno mezz’ora solo con te” gli rispondo io strizzandogli un occhio.
Nicola mi prende per mano conducendomi ad un parco dietro al locale… è praticamente isolato, eccezion fatta per il gatto randagio un po’ spelacchiato che sta passando il suo capodanno dando la caccia a chissà quale sfortunato topino.
Nicola si siede su una panchina prendendomi in braccio. Mi accarezza i capelli con un gesto dolce e affettuoso.
“Bimba, quanto sei bella stasera” sussurra lui facendo scivolare un dito dalla mia fronte alle mie labbra. Io sorrido rubandogli un intenso, lungo bacio. “E’ stato il mio Capodanno più bello finora… e spero ce ne saranno tanti altri ancora più belli, tutti insieme a te” gli sussurro io guardandolo negli occhi sorridendo. Lui mi stringe forte e mi accarezza teneramente il viso.
“Puoi scommetterci, piccola” sussurra dandomi un lungo bacio.
Stavo così bene tra le sue braccia… maledicevo il tempo che passava inesorabilmente e tra poco meno di mezz’ora mi avrebbe costretta a staccarmi da quell’abbraccio per tornarmene a casa.
Ad un tratto, Nicola allontana il suo viso dal mio per dare una sbirciata al quadrante del suo orologio. “Bimba… sono le quattro, forse è meglio se vai a chiamare le tue amiche” mi dice lui, facendomi delicatamente alzare. Io faccio una smorfia da bambina capricciosa e lui mi accarezza i capelli dolcemente, come se fossi… come se fossi la cosa più bella che avesse mai visto.
Lo prendo per mano e ritorno nel locale… è semi vuoto, praticamente è rimasta solo la mia compagnia. Vedo Thomas, Emanuel e Marcos passarsi una canna, Francisca e Valeria distese sulla panchina vicina alla parete poco più in là decisamente ubriache, Gisela le guarda e ride mentre accanto a lei Mauricio la sta letteralmente mangiando con gli occhi. Julia si stava rifacendo il trucco poco distante da lì sforzandosi per tenere con una mano un minuscolo specchietto e con l’altra una matita per gli occhi poco appuntita che poco ci mancava non le bucasse un occhio. Heliza e Roberto sono ancora lì che non fanno che baciarsi. Ma se l’è incollata addosso con la Vinavil?! mi chiedo tra me e me, soffocando una risata.
“Ragassuoleeee! Sono le quattro, è ora di alzare le chiappe e smammare!!” annuncio io facendo il mio rumoroso ingresso nel disco-pub. Valeria e Francisca neanche mi ascoltano e continuano a guardarsi con aria piuttosto imbecille ridendo per chissà quale motivo a noi ignoto. Sorrido alzando un sopracciglio e mi fiondo a recuperare una bottiglia d’acqua naturale dal bancone del bar per poi rovesciargliela in testa…
“Ora voglio proprio vedere se non vi svegliate!!” esclamo io fra le risate generali e gli strepiti delle mie due amiche.
“ANAYAAAA!!” urla inviperita Francisca togliendosi una scarpa con l’intenzione di tirarmela addosso, ma la sua mira è troppo annebbiata dall’alcool per essere giusta… e infatti becca la parte addominale bassa di Mauricio che viene improvvisamente distratto dalla sua ammirazione per le forme di Gisela e si piega in due dal dolore.
“Francisca! Che cazzo fai!!” gli urla con una smorfia di dolore che alla fine sfocia in una risata. Mauricio raccoglie da terra la scarpa di Francisca e gliela lancia addosso, ma viene intercettata da Emanuel che la recupera agilmente e la infila al piede di Francisca, alla quale nel frattempo è già passata l’arrabbiatura ed è tornata a ridere come una deficiente.
In pochi minuti riesco a recuperare tutte e 5 le mie amiche e ci infiliamo nella macchina di Nicola. Lui mi sorride e mette in moto la macchina. Verso le quattro e mezza abbiamo riportato a casa tutte, manca solo una… io.
Nicola mi ha lasciata apposta per ultima, per potermi dare un degno saluto. Ferma la macchina davanti al cancello di casa mia. Faccio per aprire la portiera dell’auto e smontare, quando lui mi afferra delicatamente per un braccio.
“Ehi, bimba, te ne vai via così? Lascia almeno che ti rubi un altro dei tuoi meravigliosi baci…” mi dice lui, e senza neanche aspettare la risposta mi bacia con passione.
Io mi stacco un attimo da lui e gli sorrido. Lui mi guarda. “E’ stata una delle mie serate più belle… e se è stata così fantastica, è stato solo grazie a te” aggiunge lui con un altro bacio.
Wooow… wow wow wow! Nicola, il bellissimo, famoso, leggendario Nicola mi sta baciando. E vuole proprio me!
Con un altro bacio gli auguro la buonanotte e poi attraverso il vialetto di casa fino alla porta. Infilo le chiavi nella serratura e la apro, i miei dovrebbero ritornare a momenti… salgo velocemente le scale e mi infilo sotto al letto, giusto un attimo prima di sentire arrivare la macchina dei miei. Tiro un sospiro di sollievo… ancora un minuto, e mi sarei presa la più grande sgridata che il mondo ricordi…
Ma non è il fatto che ho evitato la sgridata a rendermi così felice.
E’ Nicola.
Ma in fondo si sa, no? Il primo amore non si scorda mai.